In ognuno di questi siti si condivide una certa quantità di
informazioni, con scopi diversi. Si va dal semplice desi-
derio di mostrare a parenti e amici le foto dell’ultimo
viaggio, al tentativo di emergere da parte di musicisti e
talenti in generale: una vera e propria economia basata
sulla condivisione. Si parla di “sharing economy” o “gift
economy”, per spiegare il fenomeno di chi condivide
l’informazione senza aspettarsi un vantaggio diretto, pre-
sente o futuro. E’ il caso ad esempio del software open
source o di Wikipedia: né l’autore del software open
source, né chi contribuisce alle voci di Wikipedia, lo fa
per ottenerne un vantaggio diretto. Yochai Benkler, pro-
fessore dell’Università di Yale, parla di sharing economy
come un insieme di “persone, che partecipano alla ‘peer
production’ (produzione collettiva) per un ampio spettro
di motivazioni intrinseche e di interesse personale... In
sintesi le persone che partecipano alla ‘peer production’
sono appassionate della loro particolare area di interesse
e adorano l’idea di creare qualcosa di nuovo o migliore
di quanto già c’è”.
Il valore economico di questa produzione è enorme: basti
pensare che il 70% di Internet gira su software open
source (Linux, Apache, MySQL) che si sono dimostrati
in molti casi più efficienti ed efficaci di software proprie-
tari. Ci sono intere aziende che hanno basato il loro
modello di business sulla creazione di servizi per l’utiliz-
zo di questi software. Amazon, leader mondiale nella
vendita di prodotti di consumo (libri, CD, ma anche cibo
e vestiti), ha sviluppato il suo business soprattutto ricor-
rendo a strumenti che utilizzano informazioni condivise
dagli utenti (recensioni, voti, consigli di acquisto) per
guidare altri utenti all’acquisto di un prodotto.
La condivisione ha però delle regole: la prima è che il
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WEB 2.0: it’s all about data